Industrializzazione del fotovoltaico e sviluppo di know how di filiera

CELLE FOTOVOLTAICO


Premessa
industrializzazione del fotovoltaico e sviluppo di know how di filiera. L’Unione Europea e l’Italia hanno una visione ambiziosa per lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile, ma a causa della concentrazione delle filiere necessarie per la decarbonizzazione al di fuori dell’Europa, soprattutto in Cina, i costi d’investimento per tecnologie come pannelli fotovoltaici, batterie e pompe di calore sono fino a sei volte superiori rispetto a quelli cinesi. Inoltre, le spese operative in Europa sono più alte del 45% rispetto alla Cina, e il costo delle emissioni di CO2 è fino a 10 volte quello cinese. A causa della mancanza di integrazione nelle fasi upstream della filiera e dei tempi di realizzazione più lunghi, l’Europa e l’Italia hanno perso terreno nella competizione globale.

I numeri Nel solare fotovoltaico, la Cina ha conquistato una posizione di quasi-monopolio assoluto, non solo per quanto riguarda le materie prime, ma in tutta la filiera. Dal 2011, Pechino ha investito 50 miliardi di dollari per avere il dominio nel settore, e ora la sua quota di fornitura nel silicio policristallino, utilizzato nei pannelli, può essere vicina al 90%. Nel solare, è “made in China” il 97% dei wafer utilizzati nel mondo. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), la Repubblica Popolare ha quasi raddoppiato la capacità di produzione di silicio policristallino, materiale usato nella maggior parte dei pannelli solari, in cui era già arrivata a dominare l’offerta globale con una quota del 70%. Nello stesso arco di tempo, c’è stato un aumento di 40-50% nella capacità produttiva dei stabilimenti cinesi che producono celle fotovoltaiche e wafer di silicio.

Nel mondo un tempo presenti anche in Italia – uno dopo l’altro hanno gettato la spugna. Secondo il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, non c’è alcuna capacità di produzione attiva basata negli USA né per i lingotti, né per i wafer né per le celle di silicio, e questa dipendenza dalla Cina ha già causato interruzioni nella catena di approvvigionamento. In Europa, le condizioni sono di poco migliori. Un paio di produttori ancora in Norvegia, ma le loro capacità produttive sono molto inferiori a quelle dei colossi cinesi. La classifica dei produttori mondiali di polisilicio, secondo Bernreuter Research, vede 7 aziende cinesi al vertice, tra cui Tongwei, GCL, Dago e Xinte. L’Europa importa sempre più pannelli “made in China”, tanto da accumulare scorte per 40 GWdc (Gigawatt di corrente diretta), con un valore di 7 miliardi di euro. Per l’energia solare, siamo sempre meno autosufficienti e sempre più legati alla Cina: le importazioni hanno quasi quadruplicato negli ultimi 5 anni, superando i 20 miliardi di euro, e il 91% degli acquisti è “made in China”. Anche negli USA, dove è stato usato il pugno di ferro con Pechino, tre quarti delle celle fotovoltaiche installate provengono da Vietnam, Malaysia e Thailandia, dove sono state prodotte da aziende a controllo cinese.

Una nuova visione industrialel’obiettivo oggi non può essere l’indipendenza assoluta ma nel medio periodo deve essere perseguita una politica di investimenti industriali in Europa da parte del pubblico e del privato in parallelo al mantenimento e allo sviluppo ulteriore dei rapporti con le filiere asiatiche. Per affrontare questo scenario, la Ue e l’Italia devono intraprendere una serie di misure, ad esempio l’implementazione di una strategia di approvvigionamento di materie prime critiche, l’introduzione di incentivi per promuovere gli investimenti industriali, e la creazione di meccanismi dedicati di finanza verde e di esenzione IVA per le tecnologie prodotte in Europa. Solo con queste misure l’Europa e l’Italia potranno recuperare terreno nella competizione globale per le tecnologie verdi. L’obiettivo deve essere quello della industrializzazione del fotovoltaico e sviluppo di know how di filiera, al momento purtroppo inesistente. Le imprese del settore fotovoltaico non possono continuare ad essere solo importatori e distributori a servizio dei produttori asiatici ma devono contribuire con investimenti tangibili alla creazione del valore ed allo sviluppo delle competenze in Italia ed in Europa, mantenendo tuttavia il giusto rapporto di relazioni con le filiere di approvvigionamento strategico.

 

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